"Io ho fatto questo" dice la mia memoria.
"Io non posso aver fatto questo" dice il mio orgoglio, e rimane irremovibile.
Alla fine, la memoria si arrende.
(Friedrich Nietzsche, Filosofare con il martello)
"Io non posso aver fatto questo" dice il mio orgoglio, e rimane irremovibile.
Alla fine, la memoria si arrende.
(Friedrich Nietzsche, Filosofare con il martello)
In passato il termine “perdono” è stato solitamente associato alle religione, in particolare a quella cristiana, che ne ha fatto uno dei suoi precetti principali. Per questo anche la psicologia lo considerava connesso solo a tematiche morali e spirituali.
Una recente rivisitazione del suo significato ha permesso di spogliarlo dalle uniche implicazioni morali e religiose, spostando l’attenzione sulle conseguenze che il perdono può avere sulla salute e sul benessere dell’individuo. Perdonare non è più un solo atto di carità, ma diviene anche un modo per proteggersi dalla rabbia e dalle emozioni negative connesse alla percezione di aver subito un torto. E' un modo per salvaguardare le emozioni significative importanti per il nostro benessere; soprattutto la depressione, gli atti di autolesionismo e differenti forme di dipendenza. In sostanza, perdonare fa bene. A chi è perdonato e soprattutto a chi perdona. Ma c' è perdono e perdono. C' è quello «privato», per esempio all' interno della coppia. E c' è quello «pubblico», quando entrano in gioco la politica e le grandi tragedie della storia lontana e vicina. Ma perché alcuni di noi portano rancore in eterno ed altri abbandonano presto ogni desiderio di rivalsa? Dipende solo dalla gravità dell'offesa, dalle circostanze? O da caratteristiche insite in ognuno di noi? La possibilità che si arrivi a perdonare l'altro, o che si resti impigliati nelle maglie della voglia di vendicarsi - sopraffatti dai sentimenti di rancore che possono paralizzare le energie positive – secondo Ryan Brown del Department of Psychology dell' Università dell' Oklahoma, dipende da diverse variabili. Brown, che all' argomento ha dedicato un ampio articolo pubblicato sul Journal of Research in Personality, ha dimostrato che, oltre a variabili legate al tipo di offesa ricevuta e al fatto che ci siano o no state delle scuse, a orientare verso il perdono o la vendetta sono anche alcuni tratti di carattere di chi ha subìto l'offesa. In particolare, più un individuo è dominato dalla tendenza al narcisismo, più è probabile che non riesca a superare la ferita psicologica ricevuta e che cerchi la vendetta. «Ma la tendenza a perdonare o a vendicarsi non sono concetti semplicemente opposti” spiega il professor Brown. “Mentre gli individui fortemente orientati verso il perdono non possono allo stesso tempo essere vendicativi, chi non riesce a perdonare può essere o non essere vendicativo». Riuscire a perdonare, oltre che un gesto di elevato valore sociale e morale, è un passaggio che aiuta a preservare la salute. La relazione tra il perdono e la salute psicofisica è studiata da tempo e si è giunti ad alcune conclusioni. Chi riesce a perdonare è meno esposto al rischio di sviluppare sintomi depressivi, si confronta con ridotti livelli di stress, ha in media una pressione arteriosa più bassa. Specifici studi sul mal di schiena hanno dimostrato che chi tende a soffrire di questo disturbo lamenta un peggioramento dei sintomi quando si trova in una condizione di desiderio di vendetta. Joanna Maselko dell'Università di Harvard ha poi realizzato una ricerca sul livello di felicità personale di un campione di quasi 1500 persone, tra i 18 e gli 89 anni, rilevando quante volte avevano perdonato se stesse o un altro. E' emerso che il più alto livello di felicità e benessere personale, oltre che di coppia e familiare, si riscontrava tra coloro che più frequentemente avevano perdonato. Per quanto riguarda i bambini, anche tra di loro esistono differenze nella capacità di perdonare per le offese subite. I più bravi sono quelli che dimostrano di avere una spiccata tendenza allo stare con gli altri, a condividere i propri giochi. Al contrario, i bambini individuati dagli insegnanti come turbolenti sono i meno capaci di perdonare, quelli che con maggiore facilità diventano aggressivi quando ritengono di aver subito un torto. Ma come "funziona" il cervello di chi è più propenso a dimenticare i torti subiti? «Perdonare è quell' atto cognitivo che si verifica quando una persona, che è stata offesa e ferita da un'altra persona e ne ha riportato un senso di risentimento, o impulsi vendicativi, decide di scusare chi l'ha offesa» spiega Pietro Pietrini, titolare della cattedra di Biochimica clinica della Facoltà di Medicina dell'Università di Pisa, esperto di neurobiologia delle emozioni e autore di una recente ricerca sui correlati neurobiologici del perdono. «Chi perdona non assolve dalla colpa chi ha perpetrato l'offesa, - dice Pietrini - ma decide coscientemente di abbandonare la sua rabbia e il suo desiderio di vendetta. Questo processo è stato sottoposto a studio al fine di comprenderne a fondo le caratteristiche psicologiche oltre che i correlati neurobiologi e gli effetti sull' organismo. La nostra ricerca, realizzata su 8 volontari sani, ha dimostrato che il processo del perdono, o dell'impossibilità di perdonare, si svolge a livello di alcune aree del cervello associate all' elaborazione delle emozioni e del giudizio morale oltre che alla valutazione del dolore fisico e psichico, come ad esempio l'area chiamata corteccia del cingolo anteriore, l'amigdala e il corpo striato».
Durante questa ricerca, i volontari sono stati invitati prima a immaginare situazioni nelle quali si svolgevano eventi per loro offensivi, ad esempio nel rapporto con il capoufficio, il partner, i parenti. Successivamente, i singoli soggetti erano invitati a perdonare, oppure no, il tutto mentre erano sottoposti a una RMN (Risonanza Magnetica Funzionale) capace di individuare l'area cerebrale che in ciascun momento si stava attivando. «Oggi possiamo studiare i processi metabolici cerebrali alla base di emozioni, sentimenti e comportamenti, quali il comportamento aggressivo, il rispetto delle norme sociali e morali, addirittura la spiritualità. Queste ricerche sono una delle frontiere più promettenti delle nuove metodologie di biochimica clinica studiata direttamente nelle persone, e, insieme agli studi di biologia molecolare, potranno portarci a comprendere come l'interazione tra patrimonio genetico ed esposizione ambientale determini ciò che siamo» conclude Pietrini. La famiglia è uno degli ambienti relazionali all' interno del quale, volenti o nolenti, si fanno dei torti reciproci, e quindi si creano le condizioni per verificare l'importanza del perdono come strumento per la tutela delle relazioni interpersonali. Una ricerca sul perdono tra marito e moglie è stata realizzata da Camillo Regalia, ordinario di Psicologia sociale all' Università Cattolica di Milano, e dalla dottoressa Giorgia Paleari, entrambi collaboratori del Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia della stessa Università. «Lo studio ha evidenziato che provare empatia nei confronti del coniuge, così come la capacità di limitare il rimuginare sull' offesa, sono aspetti fondamentali del processo per arrivare a perdonare il partner - dice Regalia. «Questi aspetti fanno sì che chi ha subìto il torto, alla fine, non cerchi la vendetta e si impegni a rilanciare il rapporto stesso. Il perdono, infatti, non vuol dire dimenticare, far finta che niente sia successo, ma significa sviluppare un atteggiamento positivo, dare un'altra possibilità al rapporto. I dati raccolti indicano che il perdono migliora la qualità del rapporto coniugale sia nell' immediato sia nel tempo medio-lungo; ulteriori ricerche potranno dirci se l'influenza positiva si proietti su tempi più lunghi». La ricerca è stata condotta su 119 uomini e 124 donne, sposati, ai quali si è chiesto di ricordare l'offesa più grave ricevuta dal partner, e il tipo di reazione avuta, per individuare le determinanti della decisione di perdonare e degli effetti che tale scelta ha avuto sul rapporto. Va comunque ricordato che il perdono non è la riconciliazione, operazione più complessa, che comprende anche la ripresa del rapporto con chi ha offeso. Il perdono invece è un'operazione prevalentemente individuale, anche solo di chi stato offeso, che perdona l'altro senza che sia necessario il contatto. «Ma attenzione, - sottolinea Regalia - perché ciò non vuol dire che perdonare sia un processo psicologico facile o banale. E' frutto di intenso e talvolta doloroso lavoro interiore, un esito non facile né per chi lo compie né per chi riceve il perdono. Per cui possono non apparire molto credibili le dichiarazioni di perdono chieste o anche espresse in tempi immediatamente successivi all' offesa, o comunque in tempi ad essa troppo ravvicinati». Morale della favola: il perdono non cancella il passato, ma amplia il futuro. E fa bene alla pancia. |
« Un film bellissimo ed assai importante sulla storia del Sudafrica e sulla Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Interessante non solo per gli abitanti del Sudafrica, ma anche per le persone di tutto il mondo, che saranno coinvolte dai grandi interrogativi dell'umanità quali la riconciliazione, il perdono e la tolleranza. »
(Nelson Mandela) In My Country è un film sull'apartheid in Sudafrica uscito nel 2004 e diretto da John Boorman con Samuel L. Jackson e Juliette Binoche. La sceneggiatura, scritta da Ann Peacock, è basata sulle memorie di Antjie Krog, Terra del mio sangue. Nel dicembre del 2003 In My Country venne proposto in anteprima a Nelson Mandela, al quale piacque molto, e per questo decise di contribuire alla promozione del film. Il giornalista americano del Washington Post Langston Whitfield (Samuel L. Jackson) viene mandato in Sud Africa per eseguire un reportage sulla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, istituita nel 1996 dal governo Mandela. Qui conosce la giornalista e poetessa afrikaans Anna Malan (Juliette Binoche) che effettua il reportage per conto della radio di stato sudafricana e per la National Public Radio americana. I due seguono assieme i lavori della Commissione per la Verità e la Riconciliazione il cui compito non è di punire ma di far emergere i crimini commessi negli anni della segregazione razziale per poter denunciarli senza spargimento di sangue. Durante le sedute della commissione le vittime di sevizie e torture perpetrate durante l'Apartheid sono chiamate a raccontare i soprusi subiti. I poliziotti ed i torturatori partecipano alle udienze e confessando i loro crimini e dichiarandosi pentiti ottengono l'amnistia. Approfondimento consigliato:
Chapman Gary, Thomas Jennifer: I cinque linguaggi del perdono. Come vivere la gioia di recuoerare i rapporti interpersonali, Elle Di Ci, Torino Nella vita si commettono sbagli. Il bisogno di chiedere perdono riguarda ogni realtà umana, ma a volte limitarsi a dire "Mi dispiace" non è sufficiente. Attraverso le loro ricerche e il lavoro svolto accanto a centinaia di persone, gli autori di questo volume hanno scoperto cinque aspetti o "linguaggi" fondamentali del perdono: 1. Esprimere rammarico 2. Assumersi le proprie responsabilità 3. Cercare di rimediare 4. Impegnarsi sinceramente 5. Chiedere scusa. Con questo strumento è possibile individuare il proprio linguaggio principale del perdono, parlando i linguaggi delle persone amate. Un testo molto utile per migliorare i rapporti interpersonali. |
iscritto al numero 1825 Albo e Ordine degli Psicologi Regione Veneto
autorizzazione all'esercizio dell'attività psicoterapeutica 10 marzo 1994 (art. 35 legge n. 56/1989)
autorizzazione all'esercizio dell'attività psicoterapeutica 10 marzo 1994 (art. 35 legge n. 56/1989)