Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino.
(Carl Gustav Jung)
(Carl Gustav Jung)
S I T O IN C O S T R U Z IO N E
Ho passato finora più di 25 anni ad ascoltare le persone.
Adolescenti disorientati, coppie in crisi, adulti avviluppati dentro spirali di ansie e timori fino all'asfissia sociale cui gli attacchi di panico possono condurre.
Fobie, conflitti relazionali, stati depressivi e piccole grandi ossessioni.
Situazioni varie e variegate, vissute da ciascuno a modo proprio, ma tutte in in grado di paralizzare la vita lavorativa, addirittura l'esistenza.
Ho seguito i racconti della gente nelle profondità dei desideri più inconfessabili, caverne di paure paralizzanti, inestricabili quanto incerti legami affettivi, odiose invidie, abissi di gelosie tossiche.
Ho capito che se c'è un Desiderio nell'essere umano, è quello di valere qualcosa, per qualcuno. Di costituire un Desiderio, agli occhi di un altro.
Mi sono accorto come non ci sia problema che - osservato e soprattutto vissuto da un differente punto di vista - non cambi radicalmente di peso e proporzione.
Spesso è proprio in questo spostamento della prospettiva, che sta la soluzione.
Ho sperimentato quanto sia importante sviluppare una buona autonomia.
Una certa indipendenza dal giudizio altrui, più che nella sfera intima e affettiva, in quella sociale e relazionale.
Percepire che le nostre azioni sono dotate di potere. Cioè che quando ci poniamo degli obiettivi, un progetto di vita,
troviamo in noi le capacità e gli strumenti per realizzarlo. Albert Bandura chiama ciò "agentività".
Mi è stato concesso di verificare come ciò che cura e spesso guarisce, quando si attraversa una crisi,
sia l'esperienza di un legame sicuro cui potersi affidare.
Come il bambino in braccio a sua madre. Come l'amante, nella stretta forte dell'amato.
Come in una famiglia, così una comunità, un gruppo di riferimento, o con Dio.
Così lo psicoterapeuta è chiamato ad essere - per un tratto di strada - una guida che conduce alla meta,
senza togliere la fatica del percorso. Un riferimento cui appoggiarsi, senza creare dipendenza.
Lungo questi itinerari, la “mappa” orientativa a livello scientifico è per me il modello denominato
Terapia Focalizzata sulle Emozioni (Emotion-Focused Therapy: Les Greenberg, Sue Johnson).
In un certo senso, il filone operativo di quell'ampia disciplina integrativa che Daniel Siegel chiama
"Interpersonal Neurobiology".
Non è stato il primo, né l'unico ambito formativo e di studio.
Attualmente tuttavia rappresenta il mio principale “focus” nella pratica clinica,
in ragione della sua profonda concretezza epistemologica e semplicità di linguaggio.
In ciò risiede, sulla base alla mia esperienza, la spiegazione della sua efficacia.
Adolescenti disorientati, coppie in crisi, adulti avviluppati dentro spirali di ansie e timori fino all'asfissia sociale cui gli attacchi di panico possono condurre.
Fobie, conflitti relazionali, stati depressivi e piccole grandi ossessioni.
Situazioni varie e variegate, vissute da ciascuno a modo proprio, ma tutte in in grado di paralizzare la vita lavorativa, addirittura l'esistenza.
Ho seguito i racconti della gente nelle profondità dei desideri più inconfessabili, caverne di paure paralizzanti, inestricabili quanto incerti legami affettivi, odiose invidie, abissi di gelosie tossiche.
Ho capito che se c'è un Desiderio nell'essere umano, è quello di valere qualcosa, per qualcuno. Di costituire un Desiderio, agli occhi di un altro.
Mi sono accorto come non ci sia problema che - osservato e soprattutto vissuto da un differente punto di vista - non cambi radicalmente di peso e proporzione.
Spesso è proprio in questo spostamento della prospettiva, che sta la soluzione.
Ho sperimentato quanto sia importante sviluppare una buona autonomia.
Una certa indipendenza dal giudizio altrui, più che nella sfera intima e affettiva, in quella sociale e relazionale.
Percepire che le nostre azioni sono dotate di potere. Cioè che quando ci poniamo degli obiettivi, un progetto di vita,
troviamo in noi le capacità e gli strumenti per realizzarlo. Albert Bandura chiama ciò "agentività".
Mi è stato concesso di verificare come ciò che cura e spesso guarisce, quando si attraversa una crisi,
sia l'esperienza di un legame sicuro cui potersi affidare.
Come il bambino in braccio a sua madre. Come l'amante, nella stretta forte dell'amato.
Come in una famiglia, così una comunità, un gruppo di riferimento, o con Dio.
Così lo psicoterapeuta è chiamato ad essere - per un tratto di strada - una guida che conduce alla meta,
senza togliere la fatica del percorso. Un riferimento cui appoggiarsi, senza creare dipendenza.
Lungo questi itinerari, la “mappa” orientativa a livello scientifico è per me il modello denominato
Terapia Focalizzata sulle Emozioni (Emotion-Focused Therapy: Les Greenberg, Sue Johnson).
In un certo senso, il filone operativo di quell'ampia disciplina integrativa che Daniel Siegel chiama
"Interpersonal Neurobiology".
Non è stato il primo, né l'unico ambito formativo e di studio.
Attualmente tuttavia rappresenta il mio principale “focus” nella pratica clinica,
in ragione della sua profonda concretezza epistemologica e semplicità di linguaggio.
In ciò risiede, sulla base alla mia esperienza, la spiegazione della sua efficacia.